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IL CAPORALATO E IL CONTROLLO DELLA FILIERA DA PARTE DELLA COMMITTENTE (il caso delle società di moda che riguarda invero tutte le società con produzione esterna)

  • rossanalugli
  • 24 giu 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

A seguito del recente provvedimento con cui il Tribunale di Milano - Sezione Autonoma Misure di Prevenzione - in data 6 giugno 2024 ha disposto nei confronti di una società di alta moda (Dior) la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lgs. 159/2011, si ritiene utile una breve ma semplice disamina dell’istituto e della vicenda.

Occorre precisare che tale decreto consegue, invero, a due analoghi provvedimenti emessi nei mesi di aprile 2024 (caso Armani) e gennaio 2024 (caso Alviero Martini) e si inserisce in un preciso indirizzo della Procura della Repubblica di Milano finalizzato a reprimere lo sfruttamento dei lavoratori (impiegati – anche in nero – da società appaltatrici di noti committenti1).

Per tale ragione si ritiene che la vicenda e la misura di prevenzione applicata possano interessare invero tutte le società che appaltano (o comunque affidino), la produzione a società terze.


1.- L’amministrazione giudiziaria e il caporalato.


L’amministrazione giudiziaria è una misura di prevenzione che può essere applicata, ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. 159/2011 (codice antimafia) quando, a seguito degli accertamenti (ad esempio relativi all’infiltrazione mafiosa o a contratti pubblici), emergono indizi sufficienti in ordine al fatto che una determinata attività economica/imprenditoriale:

  • a)  sia sottoposta a condizioni di intimidazione o di assoggettamento da parte di un’associazione mafiosa; oppure

  • b)  possa agevolare l'attività di persone nei cui confronti è stata applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale (ad esempio la confisca); o

  • c)  possa agevolare l’attività di persone sottoposte a procedimento penale per alcuni delitti particolarmente gravi, tra cui di cui il reato di usura (art. 644 c.p.), di riciclaggio (art. 648 ter c.p.), e di – per quanto d’interesse – intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p., c.d. caporalato).

Il provvedimento di prevenzione, che è adottato per un periodo non superiore a un anno (prorogabile per un tempo, comunque, non superiore a due anni), comporta la nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario, il quale esercita i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal Tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell'attività d'impresa.


Il Tribunale, infatti, dispone la misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria quando ritiene possibile il risanamento dell’impresa mediante attività che permettano di escludere l’infiltrazione mafiosa o l’agevolazione di reati. La finalità dell’istituto in esame non è, quindi, tanto repressiva, quanto piuttosto preventiva, essendo volta, non a punire l’imprenditore che sia partecipe dell’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione di imprese sane, con la finalità di sottrarle, il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta “depurate”.

L’applicazione dell'amministrazione giudiziaria non presuppone quindi che l’attività economica avente carattere agevolatorio venga esercitata con modalità illecite, essendo solo richiesto che tale attività, seppur esercitata con modalità lecite, abbia offerto un contributo agevolatore alla commissione di reati particolarmente gravi, tra cui appunto il caporalato.


Al termine del periodo per cui è stata disposta la misura, il Tribunale può disporre:

a) la revoca totale della misura, ove il progetto di bonifica aziendale sia stato completato; oppure

b)  la confisca dell’impresa, quando emergano elementi idonei a far ritenere che i beni amministrati siano il frutto o rappresentino il reimpiego di attività illecite e che, pertanto, si sia ormai realizzata un'insanabile commistione tra interessi criminosi ed imprenditoriali; oppure

c)  il controllo giudiziario, una misura intermedia, che prevede l’imposizione all’impresa di un catalogo di prescrizioni idonee a sterilizzare i residui rischi di infiltrazione mafiosa o di agevolazione di reati.


Rispetto al caso di specie, occorre inoltre precisare che l’art. 603 bis c.p. punisce il reato di caporalato, cioè chi “utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione ...sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.


La stessa norma individua anche gli indici della condizione di sfruttamento dei lavoratori, che è integrata dalla “sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”.


2.- Il caso di specie.

Nel caso di specie l’ipotesi investigativa è stata formulata a seguito di indagini preliminari riguardanti due società a responsabilità limitata fornitrici di prodotti in pelle (borse) di una nota società dell’alta moda, in ragione di un regolare contratto di appalto.


A seguito di un sopralluogo presso i locali in uso alle due società da parte dell’Ispettorato del Lavoro nonché dell’assunzione di dichiarazioni da parte dei lavoratori e dell’acquisizione di documentazione, veniva stato riscontrato che:

  • -  molti dei lavoratori presenti, peraltro quasi tutti di nazionalità cinese o comunque stranieri, non erano assunti regolarmente (alcuni, peraltro, si davano alla fuga durante il sopralluogo);

  • -  molti di essi dormivano all’interno della stessa fabbrica, nella quale erano state ricavate alcune stanze da letto nei locali in origine adibiti ad uffici;

  • -  le condizioni igieniche dei locali abitativi erano assolutamente precarie (“al di sotto del minimo etico”);

  • -  alcuni lavoratori, trovati nei locali della fabbrica, negavano di lavorare per la società;

  • -  partendo dalle utenze registrate dalle due s.r.l., la Procura accertava che la produzione si svolgeva dalle ore 6:30 alle ore 21:30, compresi i giorni festivi e le festività;

  • -  vi era una totale assenza di tutele per la salute dei lavoratori, nello specifico:

    • i lavoratori non erano stati dotati di D.P.I;

    • non erano state mai svolte le visite mediche di idoneità;

    • non vi era stata alcuna formazione dei dipendenti;

    • vi era una totale omissione di cautele nella custodia degli agenti chimici utilizzati nella produzione;

    • i locali erano insalubri e pericolosi;

    • in molti macchinari erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza a tutela dei lavoratori, con l’obiettivo di velocizzare la produzione.


A seguito di tali accertamenti, il Pubblico Ministero ha iscritto nel registro degli indagati gli amministratori delle due s.r.l. appaltatrici per il reato di cui all’art. 603 bis c.p. “essendo emersi palesi indici rivelatori di una attività produttiva con personale in nero, in ambienti di lavoro pericolosi ed abusivi, con orario di lavoro di gran lunga superiore a quelli contrattualmente previsti...”.Tali condizioni, garantivano alle società appaltatrici (e di conseguenza anche alle committenti) costi di produzione “ampiamente compressi rispetto a quelli che si avrebbero qualora fosse correttamente applicata la normativa contrattuale collettiva ed in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro” permettendo, dunque, alle società coinvolte “un notevole margine di profitto”.


Tale situazione, secondo la Procura era stata sicuramente favorita (e quindi agevolata) “da una negligente valutazione da parte committente [n.d.r. la società di alta moda], dei requisiti tecnico professionali delle società appaltatrici della produzione” oltre che dall’omissione “di qualsiasi controllo sulla catena produttiva”.

Un sistema che, proseguiva la Procura, ha dato vita “ad un processo di decoupling organizzativo (letteralmente: “disaccoppiamento”)”, ovvero un sistema in forza del quale, accanto alla struttura formale dell’organizzazione volta a rispettare le regole istituzionali, si sviluppa un’altra struttura, “informale”, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato, anche a discapito dei lavoratori.


3.- Il provvedimento del Tribunale.

Dopo aver riepilogato i profili di diritto e gli elementi emersi in merito allo sfruttamento dei lavoratori, il Tribunale ha accolto la ricostruzione accusatoria, riconoscendo come tale meccanismo sia stato“colposamente alimentato dalla società [n.d.r. committente] la quale non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatricialle quali affidare la produzione e non ha nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro.

Per tale ragione, i modelli organizzativi e gestionali della società – si legge nel provvedimento – “almeno allo stato si sono nel concreto rivelati inadeguatie a differenti considerazioni non può indurre neppure “l’unico audit del 2023 (risultante dagli atti) nei confronti della fornitrice, con richiesta di documenti” trattandosi di un “controllo che in verità, appare più formale che sostanziale”.

L’omesso pagamento delle imposte dirette relative al costo dipendenti (contributi, assicurazione per gli infortuni) e l’omissione di “tutti i costi relativi alla sicurezza, sia dei dipendenti che degli ambienti di lavoro”, oltre a sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e rischi per la loro incolumità, specifica il Tribunale, “ha significativi riflessi in termini di concorrenza all’interno del mercato del lavoro; le aziende virtuose, infatti, sostengono spese di retribuzione, contribuzione, assicurazione e di gestione della sicurezza che sono del tutto sbilanciate rispetto a chi, come gli imprenditori cinesi sopra indicati, le riduce in modo significativo o le omette del tutto, creando una concorrenza altamente sleale nei confronti delle prime”.


In effetti, viene precisato, nel caso di specie, la produzione di un determinato modello di borsa rimetteva alla committente un costo a pezzo pari a 53,00 euro, laddove il costo al dettaglio di tale prodotto era invece di 2.600,00 euro.

Quanto alle concrete modalità esecutive della misura, il Tribunale, procedendosi nei confronti di un’impresa pienamente operativa e in applicazione del principio di proporzionalità, ha ritenuto corretto disporre l’amministrazione giudiziaria.Una misura che assicura il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori – con la possibilità, comunque, di “sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo, ove necessario, e per adeguare i presidi di controllo interno– ma che al contempo lascia il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria.

La misura è stata applicata per un anno (come detto prorogabile).


4.- Conclusioni.

Nel decreto emesso, il Tribunale ha comunque stabilito il contenuto (e i limiti) dellintervento dell’amministratore, al quale è fatto obbligo di agire “ove possibile d’intesa con gli organi amministrativi della società”.

In particolare, nel provvedimento, vengono poste a carico dell’amministratore giudiziario una serie di attività (e verifiche). Nello specifico: –  analizzare i rapporti con le imprese fornitrici in corso in modo da evitare che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e sub appalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori di cui all’art. 603 bis c.p.;

  • –  rimuovere, ove necessario, i rapporti contrattuali tuttora in essere con soggetti direttamente o indirettamente collegati a tali realtà imprenditoriali;

  • –  adottare un modello organizzativo previsto dal D.Lgs. 231/2001 idoneo per prevenire fattispecie di reato di cui all’art. 603 bis c.p.;

  • –  rafforzare i presidi di controllo interno e quelli relativi alle verifiche reputazionali dei fornitori dell’azienda.


Ad avviso di chi scrive, lo svolgimento di tali verifiche (prima dell’emersione di fatti illeciti e su incarico dell’organo gestorio) sarebbe opportuno in tutte le società che affidano a terzi parte della propria produzione, e ciò proprio al fine di escludere l’agevolazione di condotte di sfruttamento di lavoratori ad opera di imprese fornitori.

È fuor di dubbio che in molti casi risulta oggettivamente difficile comprendere le condizioni applicate ai lavoratori in una azienda terza, se non svolgendo un sopralluogo nei suoi locali (che, peraltro, non dovrebbe essere stato concordato in precedenza).Allo stesso tempo, vi sono situazioni, come quella oggetto del caso di specie (ma anche delle due vicende analoghe), in cui il costo - chiaramente fuori mercato - della produzione delle imprese fornitrici, avrebbe dovuto mettere in guardia la società committente.

Per l’emersione di questo dato, sarebbe stato (forse) sufficiente anche solo una verifica dei prezzi applicati (o applicabili) da altre e diverse società, accreditate e/o note, per l’analoga produzione, al fine di comprendere se i prezzi rientrassero o meno nel mercato.

Per tale ragione si ritiene, soprattutto in settori a rischio di caporalato (ovvero in cui buona parte della lavorazione è affidata alla manodopera di società terze), non sufficiente una mera richiesta di informazioni e documenti da parte della committente.


Risulta invece necessario svolgere analisi più specifiche, che partano certamente dalla verifica, anche mediante la richiesta di preventivi a società diverse, preferibilmente note nel settore, dei costi di produzione applicabili. Un preventivo che si discosti significativamente dagli altri, al ribasso, deve di certo porre dubbi in ordine al rispetto della legge in materia di sicurezza dei lavoratori, e dei relativi costi, nonché del pagamento delle imposte e dei contributi.


Si resta a disposizione, per ogni eventuale ulteriore chiarimento o suggerimento

 
 
 

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